Enrico Caruso e Giuseppe Iaricci
LA STORIA DI DUE GRANDI AMICI

Il prossimo 2 agosto ricorrerà il centenario dalla morte del più grande tenore di tutti i tempi, Enrico Caruso.

Capita che siamo appena rientrati da una bella vacanza “lì dove il mare luccica e tira forte il vento …” in quella Sorrento dove il tenore amava soggiornare.

Succede che nel viaggio ci accompagni la lettura di un libretto, una bellissima storia dimenticata di una grande amicizia, un inedito racconto del tenore Caruso, attraverso lo studio di Federico Forgione: Enrico Caruso e Giuseppe Iaricci (due grandi amici)”.

Il libro ci piace molto. E decidiamo di porgere l’omaggio al tenore proprio così. Dando luce ad uno spaccato dimenticato della vita di Caruso, segnato dal più bello dei sentimenti che la vita stessa possa riservare: la vera amicizia.

In un momento storico come questo, con i traumi di una pandemia mondiale che ci ha sottratto alla bellezza della socializzazione, della condivisione portandoci allo spaesamento e all’isolamento, dove storie di solitudini e disagi esistenziali si sommano giorno per giorno, crediamo che ritrovare vecchie storie perse, belle e autentiche come questa dei due tenori campani, possa fare solo bene.

Veniamo dunque alla storia.

Una storia di amicizia di “altri tempi” che lo studioso Forgione ci consegna al temine di una importante opera di ricostruzione storica fatta da interviste di fonti dirette, pubblicazioni, stampa del tempo, locandine dei teatri, missive autografe, insomma un lungo lavoro storiografico divenuto un piacevole racconto storico, ma con un bellissimo taglio romantico che addolcisce la lettura, restituendo al lettore pagine tra poesia e realismo piene di sentimenti.

Il libro parte proprio da “Sorrento”, giugno 1921. Caruso gravemente malato riceve la visita del suo caro amico Iaricci, i due sono legatissimi da una grande amicizia che dura da 30 anni.

Tutto ebbe inizio a Napoli nel 1893. Caruso (nato nel 1873) non è ancora nessuno e la gente lo chiama Carusiello, Iaricci (nato nel 1857 a Solopaca nel Beneventano), invece è già un tenore conosciuto, presumibilmente esordisce nel 1891 a Napoli con il Trovatore di Verdi (avendo iniziato troppo tardi la carriera, dopo i 30 anni, resterà sempre un affidabile tenore ma non avrà mai una carriera stellata come quella dell’amico). Grazie ad un amico in comune di nome Ciabò (un vecchio baritono) i due si conoscono ed è subito amicizia, grande amicizia. Un sentimento profondo e spassionato che durò tutta la vita. Due grandi amici che si sostengono sempre, soprattutto nei momenti di difficoltà.

 

Entrambi provengono da mondi lontani dai salotti aristocratici del tempo. Entrambi sono di umili origini e non hanno i mezzi per garantirsi scuole di canto e facilitazioni. Caruso nato nella vecchia e affamata Napoli di fine Ottocento, Peppino Iaricci quindici anni più grande, nato nel Sannio, a Solopaca, provincia di Benevento, altrimenti destinato ad una carriera di falegname. Il libro ci riporta una dimensione molto umana del tenore che venne osannato da tutto il mondo, una parte molto intima e emotiva, filantropica che non perse mai, nemmeno all’apice della sua carriera planetaria.

C’è un momento unico e indimenticabile, ed accade nel 1895, quando grazie al gesto nobile di Peppino Iaricci, il giovanissimo Enrico Caruso potrà esibirsi per la prima volta in un vero teatro, al Bellini di Napoli, la grande occasione che lo consacrerà in eterno.

Il racconto è emozionante. Caruso poche settimane prima aveva avuto una disavventura a Caserta interpretando Mefistofele nel Faust, era stato fischiato, si era innervosito e l’opera era stata sospesa. Nessuno gli avrebbe dato più un’occasione. Peppino Iaricci, era impegnato al Teatro Bellini di Napoli nel Rigoletto di Verdi, chiamò l’amico e organizzò un piano perfetto. Il giorno dell’ultima data dell’opera, mezz’ora prima di salire sul palcoscenico, finge un malessere improvviso. Sono attimi di panico. Sospendere l’opera o sostituire il tenore? E con chi? Iaricci propone il suo amico, Enrico Caruso. E’ fatta. Caruso sale in scena indossa gli abiti del Duca di Mantova e canta ad un livello altissimo lasciando tutti estasiati.

Caruso, da quel momento diventa Caruso.

Partì per una tournèe in Egitto, poi a Livorno e poi alla Scala di Milano.

<<Grazie Peppì, chesto nun m’o scordo finchè campo!>>.

E fu davvero così. Caruso non dimenticò mai il gesto di Peppino Iaricci e lo coinvolse in molteplici opere come tenore comprimario. Una data memorabile dell’esibizione di entrambi, insieme, fu il 23 ottobre del 1900, quando Caruso debuttò nella Tosca di Puccini e Iaricci ebbe il ruolo di Spoletta.

Da qui il libretto ripercorre la vita dei due tenori amici, ricordando altri momenti importanti di vicinanza e affetto vero. Come il viaggio in America, quando Iaricci fu ospite di Caruso a New York dall’autunno del 1911 alla primavera inoltrata del 1912. E ancora un momento rimasto nella memoria di un paese, il soggiorno di Enrico Caruso a Solopaca nella villa del tenore Iaricci nel 1911, ricordato oggi da una targa commemorativa affissa sulla facciata della dimora (in foto).

Solopaca, terra conosciuta dai tempi di Orazio per il suo celebre viaggio a Brindisi e per il famoso vino ancora oggi noto nel mondo, è un paese collinare dai panorami bucolici che ristorano anima e mente. Qui i due tenori trascorsero momenti di pace e sublime contemplazione.

Una delicata lettura ricca di sentimenti e di pezzi di storia fino al momento in cui “la voce divina di spense!”. Così il Mattino di Napoli titolò in prima pagina la tragica notizia al termine della lunga malattia di Caruso. Era il 2 agosto del 1921. I funerali si svolsero nella Basilica di San Francesco di Paola in Piazza del Plebiscito, la bara fu trasportata a spalla da: Michele Caramanna, Mario Tizzani, dal cameriere personale di Caruso Mario Fantini, Paolo Longone, Vincenzo Bellezza e dal tenore Peppino Iaricci.

Morì giovane, a soli 48 anni nel pieno del suo successo, ma la sua voce non morirà mai, così come l’amicizia di Enrico e Peppino.

 

Caterina Misuraca