Dopo 40 anni torna a Milano a Palazzo Reale una retrospettiva che celebra Edvard Munch

A Milano, Edvard Munch viene celebrato con una grande retrospettiva fino al 26 gennaio 2025. La mostra Munch Il grido interiore  è promossa da Comune di Milano – Cultura con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo.

Protagonista indiscusso nella storia dell’arte moderna, Munch è stato uno dei principali artisti simbolisti del XIX secolo ed è considerato un precursore dell’Espressionismo, oltre a essere un maestro nell’interpretare le ansie e le aspirazioni più profonde dell’animo umano.

La vita di Munch è stata segnata da grandi e precoci dolori. La perdita prematura della madre a soli 5 anni e della sorella, la morte del padre e la tormentata relazione con la fidanzata Tulla Larsen sono stati il materiale emotivo sul quale l’artista ha cominciato a tessere la sua poetica. I suoi volti senza sguardo, i paesaggi stralunati, l’uso potente del colore, la necessità di comunicare dolori indicibili e umanissime angosce sono riusciti a trasformare le sue opere in messaggi universali.

La mostra è curata da Patricia G. Berman, una delle più grandi studiose al mondo di Munch, in collaborazione con Costantino D’Orazio per il supporto nella redazione dei testi di approfondimento. In essa è racconto tutto l’universo dell’artista, il suo percorso umano e la sua produzione grazie alle 100 opere esposte, tra cui una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895), La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–1924), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901) e Danza sulla spiaggia (1904).

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L’artista

Munch è uno degli artisti che ha saputo meglio interpretare sentimenti, passioni e inquietudini della sua anima, comunicandoli in maniera potente e diretta. Plasmato dal naturalista norvegese Christian Krohg, che ne incoraggiò la carriera pittorica, negli anni Ottanta del Novecento si recò a Parigi dove assorbì le influenze impressioniste e postimpressioniste che gli suggerirono un uso del colore più intimo, drammatico ma soprattutto un approccio psicologico.

A Berlino contribuì alla formazione della Secessione Berlinese e nel 1892 si tenne la sua prima personale in Germania, che fu reputata scandalosa. Da quel momento in poi Munch viene percepito come l’artista eversivo e maledetto, alienato dalla società, un’identità in parte promossa dai suoi amici letterati. A metà degli anni Novanta del XIX secolo si dedicò alla produzione di stampe e divenne uno degli artisti più influenti in questo campo.

Il dolore nei lavori di Munch

La sua produttività e il ritmo serrato delle esposizioni lo porteranno a ricoverarsi volontariamente nei sanatori. Relazioni amorose dolorose, un traumatico incidente e l’alcolismo lo portarono a un crollo psicologico per il quale cercò di recuperare in una clinica privata tra il 1908 e il 1909.

Dopo aver vissuto gran parte della sua vita all’estero, l’artista quarantacinquenne tornò in Norvegia, stabilendosi al mare, dipingendo paesaggi e dove iniziò a lavorare ai giganteschi dipinti murali che oggi decorano la Sala dei Festival dell’Università di Oslo. Queste tele, le più grandi dell’Espressionismo in Europa, riflettono il suo interesse per le forze invisibili e la natura dell’universo.

Nel corso della sua lunga vita Edvard Munch realizzò migliaia di stampe e dipinti. Essendo tanto un uomo d’immagini quanto di parole, riempì fogli su fogli di annotazioni, aneddoti, lettere e persino una sceneggiatura per il teatro. L’esigenza di comunicare le proprie percezioni, il proprio ‘grido interiore, lo accompagnò per tutta la vita. Proprio questa attitudine è stato il motore della sua pratica come artista. Nei suoi lavori ha toccato temi universali come la nascita, la morte, l’amore e il mistero della vita, ma anche i disagi psichici connessi all’esistenza umana, le instabilità dell’amore erotico, il disagio prodotto dalle malattie fisiche e mentali e il vuoto lasciato dalla morte.
Questa mostra ruota attorno al ‘grido interiore’ di Munch. Al suo saper costruire, attraverso blocchi di colore uniformi e prospettive discordanti, lo scenario per condividere le sue esperienze emotive e sensoriali: un processo creativo che sintetizza ciò che l’artista ha osservato, quello che ricorda e quanto ha caricato di emozioni.

Munch

Prima sezione – Allenare l’occhio

Munch riteneva che la mente, le visioni interiori e il recupero cosciente dei ricordi dessero forma alla percezione diretta della realtà, fino a sostituirla: “Non dipingo la natura: la uso come ispirazione, mi servo dal ricco piatto che offre. Non dipingo cosa vedo, ma cosa ho visto.”

La formazione artistica di carattere accademico si trasforma in tecniche inventive capaci di esprimere i ricordi e le emozioni che sfuggono all’occhio umano. Dopo brevi studi di ingegneria e di disegno accademico, l’artista viene catturato dalla sfera d’influenza di Christian Krohg, autore e pittore dai toni politici e radicali, nonché di un gruppo artistico e letterario (il Kristiania Bohéme) che, secondo lo stesso Munch, contribuisce a “far maturare” le sue idee in materia di predominanza dell’esperienza interiore sulla realtà materiale.
In mostra opere del periodo come Autoritratto (1881-82), Malinconia (1900-1901) e Il circolo bohémien di Kristiania (1907).

I viaggi in Francia della fanno da sfondo alle sue incursioni nelle tecniche dell’Impressionismo, del Neoimpressionismo e del Sintetismo. Durante gli anni ‘90 del XIX secolo vive a Berlino, dove entra a far parte di una comunità di scrittori, scienziati e libertari che studiano la teoria psicologica contemporanea e le espressioni dell’inconscio. Ad esempio, i pochi anni che separarono i ritratti della sorella Laura (il primo nel 1882, il secondo nel 1900) illustrano bene il viaggio che porta il pittore dall’universo del visto a quello del non visto.
Munch presta particolare attenzione alle immagini, ai suoni, ai colori e persino alle vibrazioni percepibili nell’aria; è estremamente consapevole dei modi in cui le emozioni filtrano le sue esperienze del mondo.

Nei suoi scritti annota più e più volte come la sua vista influenzi la sua esperienza sensoriale, incluso i suoni che sente e gli stati emotivi che prova, producendo capolavori come L’urlo.

Seconda sezione – Fantasmi

“La malattia fu un fattore costante durante tutta la mia infanzia e la mia giovinezza. La tubercolo si trasformò il mio fazzoletto bianco in un vittorioso stendardo rosso sangue. I membri della mia cara
famiglia morirono tutti, uno dopo l’altro”

Munch

Dagli anni ’80 del XIX secolo, a partire dalla La bambina malata le opere di Munch iniziano a raccontare i suoi ricordi manipolati attraverso la pittura e la scrittura. Durante l’infanzia sperimenta perdite molto importanti: la madre muore di tubercolosi quando Edvard ha appena cinque anni, mentre sua sorella maggiore Sophie, è portata via dalla stessa malattia un mese prima che l’artista compia tredici anni. Il decesso del padre sopraggiunge, poi, mentre il pittore si trova in Francia, e il fratello Peter Andreas muore ad appena trent’anni. Munch filtra il lutto della sua famiglia in alcuni dei suoi motif più toccanti.
Se le raffigurazioni sentimentali della malattia erano popolari nei paesi nordici, le immagini di Munch sono, di contro, cariche dell’agonia che si prova nel guardare qualcuno morire, e della lotta con la morte che immagina i malati debbano affrontare. Le sue rappresentazioni di allucinazioni, ombre allungate dietro alle figure e rivoli di pittura che evocano l’immagine di corpi che si dissolvono, vogliono suggerire il modo in cui i pazienti fanno esperienza del mondo.

Nei suoi scritti, Munch dichiara esplicitamente che i ricordi sono strumentali nel suo lavoro. L’atto di richiamare le proprie memorie gli consente di liberarsi dei dettagli superflui e identificare i momenti più significativi e importanti del suo passato: quasi una caccia ai fantasmi.
In questa sezione sono presenti opere celeberrime, tra le altre, come Sera. Malinconia (1891), Disperazione (1894) L’urlo (1895), Lotta contro la morte (1915) e La morte nella stanza della malata (1893).

Terza sezione – Quando i corpi si incontrano e si separano

Nel 1890 Munch scrive il “Manifesto di Saint Cloud”, un testo poetico che si ritiene abbia orientato le sue scelte artistiche:
“Un braccio forte e nudo; un collo possente e abbronzato; una giovane donna che reclina il capo sulle curve del seno. Chiude gli occhi ed ascolta con labbra aperte e tremanti le parole che lui sussurra nei suoi capelli lunghi e sinuosi. Vorrei dar forma alla scena come vi assisto ora, ma avvolta in una foschia azzurra. Queste due persone in tale momento in cui non sono sé stesse, ma solo uno delle migliaia di anelli sessuali che concatenano ciascuna generazione all’altra. Le persone dovrebbero comprenderne la santità, la grandiosità, e togliersi il cappello come se stessero entrando in chiesa. Ne realizzerei diversi, di dipinti simili. Non sarebbero più ambienti, o uomini che leggono, o donne che lavorano a maglia a essere dipinti, ma persone in carne e ossa, che respirano e sentono, soffrono e amano…”

Munch

In un’epoca di promiscuità tanto pubblica quanto privata, la determinazione di Munch a rendere visibile quella che lui definisce la “grandiosità della sessualità” è avanguardistica e controversa. Nonostante la misoginia di alcune sue immagini e la frequenza con cui rappresenta il rapporto tra uomini e donne come una battaglia tra i sessi, egli esprime empatia nei confronti delle persone che vengono irretite dalla seduzione e rovinate dalla dissoluzione dell’amore.
Negli anni ‘90 del XIX secolo Munch comincia a organizzare le sue immagini di desiderio erotico, risveglio sessuale e desolazione in una serie chiamata “Amore” che sviluppa nel corso dei decenni successivi e trasforma nella serie intitolata “Il Fregio della vita”.

In mostra sono presenti opere come Bacio vicino alla finestra (1891), Coppie che si baciano nel parco (Fregio di Linde) del 1904 e Madonna (1895).

Quarta sezione – Munch in Italia

Un aspetto poco conosciuto del lavoro di Munch è il suo debito verso l’Italia. Il suo primo viaggio nella Penisola risale al 1899, assieme alla sua amata Tulla Larsen, e comincia subito con il piede sbagliato: “Sarebbe dovuto andare a Parigi”, scrive l’artista utilizzando la terza persona, “Ma la sua salute non glielo permise, e forse l’Italia gli avrebbe giovato, quindi si diressero insieme a Firenze. Malattia, alcol, disastri: questo fu il viaggio a Firenze.” Dopo la partenza della Larsen, però, Munch si dirige a Roma, dove si confronta profondamente con le tradizioni italiane.

Questa nuova fase, in parte ispirata dall’arte di Raffaello, include l’elaborazione del suo Fregio della vita in un allestimento architettonico narrativo. Anche i dipinti monumentali successivi devono un tributo al Rinascimento italiano: “Penso alla Cappella Sistina… Trovo che sia la stanza più bella al mondo.”

Munch torna in Italia nel 1922 (“più gloriosa che mai”) e trascorre un giorno a esplorare la Basilica di Sant’Ambrogio a Milano.

Nel 1927 passa un mese a Roma e si reca al Cimitero Acattolico per visitare la tomba dello zio, Peter Andreas Munch, lo storico più famoso di tutta la Norvegia. P. A. Munch, morto a Roma, è un accademico di tale rilievo da rientrare nel gruppo dei primissimi studiosi non cattolici a cui è consentito l’accesso agli archivi vaticani. Munch cerca inoltre ispirazione tra i tesori di Roma: “Dato che sto lavorando con i grandi formati, per me è fondamentale poter ammirare gli affreschi di Michelangelo e Raffaello”, annota.
In questa sezione La tomba di P.A. Munch a Roma (1927) che ritrae uno scorcio del cimitero acattolico romano dove è sepolto lo zio e Ponte di Rialto, Venezia (1926).

Quinta sezione – L’universo invisibile

Un collega di Munch ricorda di avergli sentito affermare: “La terra è un gigantesco atomo vivente…Ha pensieri e una volontà; le nuvole sono il suo respiro, i temporali i suoi sbuffi profondi, la lava rovente il suo sangue brillante. Perché, allora, non dovrebbe anche il Sole avere una volontà, grazie a cui irradia la luce di cui è ricco in tutto lo spazio? Tutto ha vita e volontà e movimento, le rocce e i cristalli quanto i pianeti.”
Per Munch la Terra è un elemento dotato di coscienza e respiro. È attratto dalla dottrina del monismo, secondo la quale la mente e la materia, le forze invisibili e il mondo materiale convergono. Uno dei teorici più influenti di questo sistema di pensiero è Ernst Haeckel, scienziato tedesco specializzato in anatomia comparata e uno dei primi promotori in Europa del Darwinismo. Secondo il monismo una forza permea l’universo e anima i rapporti evolutivi che correlano gli esseri viventi e la materia inanimata.

Munch

La cosmologia personale di Munch è modellata sulla base dell’idea che l’ambiente fisico e i corpi delle creature agiscano gli uni sugli altri, permettendo alle energie invisibili (come le radiazioni solari, l’elettromagnetismo, la telepatia, la crescita cellulare) di interagire con il mondo visibile: “Oggi ho sentito una conferenza alla radio sulla materia e le onde elettromagnetiche della luce. Il docente ha presentato le ultime conclusioni: in poche parole, la luce è composta da onde e, pertanto, anch’essa è materia. Questo è esattamente quello che avevo scritto nel mio diario venti o trenta anni fa: avevo scritto che tutto si muove e che il fuoco della vita può essere trovato persino nella pietra.”
In mostra Uomini che fanno il bagno (1913-1915), Onde (1908) e Il falciatore (1917).

Sesta sezione – Di fronte allo specchio (Autoritratto)

Munch è stato un prolifico creatore di autoritratti, proprio come Rembrandt e Picasso. Questo tipo di soggetto offre al pittore il modo di esplorare l’espressione, la postura, i piani di luce e ombra e altre caratteristiche del soggetto umano grazie ad un modello sempre disponibile e a basso costo: sé stesso.
Gli autoritratti possono anche essere un veicolo di auto-invenzione ed espressione dell’identità artistica, una dimensione che Munch esplora servendosi di una teatralità eccezionale.
L’artista posa sempre con grande originalità davanti allo specchio. Una sorte di oggetto di scena che gli permette di assumere il ruolo di diversi personaggi: la litografia del 1895 paragona l’artista ad uno spettro simbolista, come se stesse osservando il mondo da una lapide, con la testa immersa nel vuoto, incorniciata da un’iscrizione e da un braccio scheletrico. Nel 1903 il pittore inserisce il suo corpo nudo tra le fiamme dell’Inferno. Espone molti suoi autoritratti alternandoli con altri suoi temi che sceglie, di volta in volta, per condividere il suo stato psicologico. Al contempo, tali immagini, per quanto fittizie, conferiscono autenticità al resto delle sue opere.
Invecchiando Munch tiene progressivamente traccia degli effetti causati dall’impietoso passare del tempo. Il suo Il viandante notturno (1923-24) raffigura l’artista che sbircia da un lato della composizione, come una vittima dell’insonnia che vaga tra le stanze della propria casa. A settant’anni, Munch si rappresenta come una figura instabile ne Autoritratto tra il letto e l’orologio (1940-1943) con le sue mani prolifiche che penzolano inerti ai lati del corpo. In tal senso lo specchio è uno strumento molto peculiare, suo complice durante i tentativi di auto-invenzione.

Settima sezione – L’eredità di Munch

In tutta la sua carriera Munch è stato un grande sperimentatore. Dalla pittura classica al cinema, dall’incisione alla fotografia, la sua ricerca ha mantenuto una straordinaria coerenza ed un potere evocativo ancora oggi estremamente contemporaneo.
In mostra sono raccolti alcuni suoi capolavori che permettono di rileggere attraverso precise scelte compositive il suo immaginario disturbante, inquieto, eppure seducente. Sono paesaggi accomunati dalla sua personale costruzione dello spazio, definita spesso da un elemento architettonico che proietta il nostro sguardo con decisione all’interno del quadro. Accade con la balaustra nel dipinto Donna sui gradini della veranda (1942), con il viale nel Muro di casa al chiaro di luna (1922-1924) o con la staccionata ne Le ragazze sul ponte (1927).
Sono elementi che invitano ad entrare nella scena e partecipare con maggiore coinvolgimento all’emozione che la pervade.

Dopo aver studiato la tradizione rinascimentale nei suoi viaggi in Italia, aver assorbito le novità dirompenti del Postimpressionismo di Cézanne, Gauguin e Van Gogh, dopo aver interagito con la generazione emergente degli espressionisti, Munch riesce ad inaugurare un linguaggio personale.

La sua ricerca, ancora oggi in parte da spiegare, costituisce la premessa per la nascita delle Avanguardie che nel XX Secolo porteranno gli artisti a cercare soluzioni sempre più radicali, spesso non apprezzate dal pubblico nell’immediato, ma destinate a definire il nostro immaginario e diventare gli strumenti migliori per raccontare le nostre emozioni più profonde.

La mostra vede come sponsor Statkraft e Generali Valore Cultura, special partner Ricola, media partner Urban Vision. Mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale e radio partner Dimensione Suono Soft.